Poesie


MAMMA RITORNO

di Narcisa Parra, 2012

  

Mamma mi cullavi allora                                           
Mi cantavi la ninna nanna
Dolce mi sorridevi
Affinché chiudessi gli occhi 


Eri là sulla porta di casa
Il cuore gonfio, negli occhi il pianto
per l’ angoscia del mio partire:
povera figlia mia te ne vai! 
 
Senza sapere quando tornerai.
Sì, la madre ti aspetta ancora!
Mamma ho bisogno di quel calor
Mamma voglio il tuo amore!
 
Voglio essere a te vicino
Sentire battere il tuo cuore
I tuoi occhi splendono ancora
L' ansia mi divora

Mamma busso alla porta
Baciami sono tua figlia io:
Mamma il tuo bacio , il bacio di Dio!

 

 

 

 

Frammento II (versi 47-62)

Clemente Rebora (Frammenti lirici – 1913)

 

 Mamma, zolla aria luce,
Papà, tronco puro severo,
Fratelli, miei rami e mio nido,
Sorelle, mie foglie e mie gemme,
O nostro buon sangue soave
a vedere e a libare,
Mentre vorrei amare
E giovando dissolvermi in voi,
Non vi conosco, non v'inghirlando
nell'ora che giunge e dilegua
Rimandando i consensi più in là!
Impeto strano, sii forte
Nel giogo del tempo; e rivivi
Nell'atto la fede,
Simile a chi luce non vede
mentr'essa schiara le fatiche assorte

 

 

Città vecchia

Umberto Saba
(da “Trieste e una donna” 1910-12)


Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene e che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via. 

Meriggiare pallido e assorto 

Eugenio Montale

(da “Ossi di seppia” – 1916) 

 

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.


 

 

 

 

  

Durante la festa di consegna dei diplomi Emilienne

legge "l'Infinito" di Giacomo Leopardi.

(Giugno 2008);

 

   

 

Al COI si trasmette l'amore per la lingua italiana in tutte le sue forme: dal "ciao, come stai?" al metro della poesia.

 

 

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quïete

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s'annega il pensier mio:

e il naufragar m'è dolce in questo mare.

 

 

 

L'infinito di Leopardi in tutte le lingue del mondo. (clicca per ingrandire).


 

 

 

 

 

Marco presenta Ashgar,Tarik e Mochine.  

26 Giugno 2010 - Festa consegna diplomi.

 

 

 

 

Asghar recita “Per Lei” di Giorgio Caproni.

 

Giorgio Caproni

Per lei

 

Per lei voglio rime chiare, 
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline, 
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili
Anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.

 

(da Il seme del piangere - 1959)

 

 

 

 

 

Tarik recita “Preghiera” di Giorgio Caproni

Ashgar,Tarik e Mochine recitano insieme la settima strofe del Canto di pace per il Mediterraneo” di Adonis (Ali Ahmad Said Asbar).

 

 

Giorgio Caproni

Preghiera
(A mia madre, Anna Picchi)


Anima mia, leggera
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancor viva tra i vivi.

Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d’oro che lei portava
sul petto, dove s’appannava.

Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.

 

(da Il seme del piangere - 1959)

 


 

 

Adonis (Ali Ahmad Said Asbar)                       

Canto di Pace per il Mediterraneo

(traduzione di Fawzi AL Delmi)                

 


 LE TRE VOCI

 

VII

Prima voce

La pace ci insegna a leggere lentamente

la velocità della luce

 

Seconda voce

La pace ci insegna

che le scintille

possono essere anch’esse create

con l’acqua.

 

Terza voce

Soltanto colui che odia se stesso

può odiare la pace.

 

Il Narratore

In nome della pace, dico:

l’immaginario è l’altro nome del reale.

Così poso il mio linguaggio

Sotto la camicia del Mediterraneo e lo

libero.

La mia lingua, anch’essa è

un corpo,

ogni lettera una cellula.

Così la mia voce

scende nelle parole.

Con la tua voce, o

pace, ho appuntamenti

che certo saranno

fruttuosi e belli.